In questo blog, nato come semplice “segnaposto” per il dominio del Festival della Canzone Artificiale e utilizzato in modo un po’ improvvisato per le comunicazioni della prima edizione, stiamo cercando di creare uno spazio di community e di discussione. Lo facciamo con lo stesso spirito scanzonato con cui organizziamo il Festival, ma con la consapevolezza che il tema dell’intelligenza artificiale è sempre più rilevante e merita approfondimenti seri.
Oggi vi proponiamo una lunga intervista ad Alex Raccuglia, figura poliedrica con una vasta esperienza nel campo creativo, multimediale e cinematografico. Alex è regista di spot pubblicitari, editor di effetti speciali, sviluppatore di app e podcaster da oltre dieci anni con il suo “TechnoPillz“, un flusso di coscienza digitale in cui esplora temi di tecnologia e innovazione.
Con Alex abbiamo parlato di intelligenza artificiale, del suo impatto sulla vita quotidiana e sul lavoro, delle sfide etiche e delle prospettive future. Un’intervista ricca di spunti di riflessione, che vi invitiamo a leggere con attenzione.
Simone: Ciao Alex, grazie del tuo tempo. Si fa un gran parlare di questi modelli basati su intelligenza artificiale e si fa sempre un po’ di confusione considerandoli delle novità, quando esistono strumenti AI già da diversi anni, e sulla loro certa efficacia nel supportare l’uomo nelle sue funzioni. Tu cosa ne pensi?
Alex: Beh, sì, sicuramente si parla di intelligenza artificiale da quasi 100 anni, probabilmente. Quello che è cambiato negli ultimi anni è essenzialmente il fatto che ci sono strumenti di calcolo sufficientemente potenti da poter supportare e sopportare le elaborazioni teoriche che sono state ideate ed elaborate decine di anni fa.
Se noi prendiamo tutto il discorso dell’intelligenza artificiale, tutto quello che è stato detto negli ultimi anni, e togliamo tutta la parte di marketing che ci vuole far credere che ci sia un essere senziente e pensante dentro le macchine e riduciamo il tutto a quello che in realtà è, uno strumento che fa tantissimi calcoli, anche relativamente semplici, ma in quantità mostruose.
E questi strumenti sono utilizzati da tantissimo tempo, da chi si occupa di viabilità, del traffico aereo, dell’indagine e analisi medica e farmaceutica, da chi si occupa di sociologia, di trovare trend finanziari. Non è una cosa che è apparsa solo ieri, ma già da diversi anni, se non da decine di anni.
Quello che è cambiato è l’accesso a una particolare classe di queste architetture, il cui unico scopo è quello di scrivere quanto più bene possibile, o imitare immagini, musiche, video…
Il che, se lo si osserva da un punto di vista prettamente accademico, risulta essere uno dei più grandi risultati dell’ingegneria umana, dove per ingegneria intendo naturalmente l’ingegneria del software, ma anche della statistica, della matematica, della topologia.
Io sono ben contento che questi strumenti esistano e che possano farci scoprire delle correlazioni che, ad un’analisi superficiale o non possibili da un singolo essere umano, risulterebbero nascoste o difficili da individuare.
Il grosso problema, e lo penso soprattutto in termini contemporanei, è quando questi strumenti, dato che devono in qualche modo essere venduti, vengono presentati come infallibili, come la soluzione a tutti i mali, come un passo avanti nell’evoluzione umana. Perché questo, nella maggior parte della gente che non conosce appieno il settore e le sue meccaniche e dinamiche, potrebbe apparire come una sorta di, passatemi il termine, divinità, dando più valore a questi tool di quanto ne abbiano veramente, e di conseguenza incrementando a livelli non sostenibili la fiducia in essi, mentre occorre sempre avere un occhio critico e analitico nei confronti dei risultati che presentano e delle conclusioni a cui giungono.
Questo è il vero problema e il vero pericolo.
Dato che questi mezzi, almeno ultimamente, sono stati pensati per essere quanto più simili agli uomini possibile, spesso li si scambia per uomini, il che è nella nostra natura. Si pensi, per esempio, alle favole in cui ci sono gli animali ma che vengono antropomorfizzati.
Ecco, se ci fidiamo troppo di quello che le macchine dicono, magari nove volte su dieci hanno perfettamente ragione, ma quella volta che non ce l’hanno e che noi prendiamo per oro colato quello che ci dicono, beh, quello è il momento in cui ci facciamo davvero del male.
E altre persone, intendo persone in carne e ossa, ne pagano le conseguenze, socialmente, penalmente, anche fisicamente.
Simone: Si dice che le Intelligenze Artificiali, o quel che sono, finiranno per semplificare di molto il lavoro degli uomini, in particolare in diverse professioni. Non c’è un rischio di deresponsabilizzazione o di standardizzazione dei risultati?
Alex: La deresponsabilizzazione è esattamente ciò di cui parlavo prima.
Se queste macchine ci vengono vendute come perfette e infallibili, finiamo per fidarci troppo di esse. E non abbiamo un occhio critico né una presa di responsabilità.
È inutile che ci dicano che un’automobile che guida da sola deve essere comunque supervisionata, che dobbiamo mantenere le mani sul volante e i piedi sui pedali: perché dopo 50 km abbiamo raggiunto un tale livello di fiducia che rischiamo di distrarci completamente.
Il problema non si presenta dopo 50 km o dopo 500 km, ma dopo 5.000 km o 50.000 km.
Prima o poi accade qualcosa di strano.
E in questo caso non devono venirmi a dire che il costruttore dell’auto si assume la responsabilità civile della cosa.
Se in auto c’è un pilota o un conducente, e questi commettono qualcosa di sbagliato, sono loro a pagarne le conseguenze. È una persona in carne e ossa, mentre un’azienda non è una persona e può permettersi di sbagliare perché nessuno finisce in prigione.
O, perlomeno, deve subire un processo.
Sul fatto di avere una certa omogeneizzazione dei risultati, beh, questo è un comportamento che emerge immediatamente.
O perlomeno dopo poco tempo.
Inizialmente questi strumenti sono così raffinati da ingannare praticamente chiunque. Ma dopo un po’ che li si conosce, si inizia a osservare anche a occhio nudo il pattern sottostante.
Quando si identifica un pattern, uno schema, delle ripetizioni, e non emergono elementi nuovi, la sorgente di informazioni perde automaticamente di valore.
Chi detiene questi mezzi investe cifre spropositate, impensabili, per costruire centri di elaborazione sempre più grandi, al fine di ottenere modelli sempre più raffinati e capacità sempre più precise.
Però è qualcosa che, a un certo punto, raggiunge una sorta di tetto, perché non possiamo costruire computer grandi come città, alimentati da centrali elettriche con energie non rinnovabili, mettendo a rischio la salute del pianeta che è già compromessa, aumentando ancora di più il divario tra un’oligarchia infinitamente ricca e il resto del mondo che lotta ai margini della povertà.
Simone: I Copywriter sono preoccupati di perdere il posto di lavoro, anche gli sviluppatori oggi lo sono, e gli editor video? Abbiamo visto un numero sempre maggiore di applicazioni AI all’interno dei principali software di editing. Quale è il tuo punto di vista?
Alex: Una delle cose interessanti che dicono tutti quelli che si occupano di comunicazione e intelligenza artificiale è questo paradigma piuttosto interessante.
Non devi essere preoccupato di perdere il posto di lavoro perché il tuo lavoro verrà fatto dall’intelligenza artificiale, devi essere preoccupato perché il tuo lavoro verrà fatto da un’altra persona che invece usa l’intelligenza artificiale, se tu non la usi.
Questo è interessante, nel senso che ogni volta che ci penso un po’ mi fa arrabbiare; mi sembra una sorta di proclama del tipo “dovete adattarvi, altrimenti vi estinguerete”.
È un’affermazione molto capitalista e anche molto anglosassone.
Noi in Europa abbiamo comunque un’identità e un’ideologia un pochettino più socialista, nel senso e nel concetto di “non possiamo non andare avanti tutti insieme”.
Certo, qualcuno va più avanti e qualcun altro va più indietro, ma se uno vince e tutti gli altri perdono, alla fine quello che vince si ritrova da solo e, alla fine, perde anche lui.
Tuttavia, il principio secondo il quale l’intelligenza artificiale, o le intelligenze artificiali, con tutti questi strumenti, ci sono e possono essere utilizzati, secondo me deve entrare a far parte dei nostri processi culturali e lavorativi.
Sarebbe impensabile oggi lavorare senza un motore di ricerca, o scrivere un testo senza un correttore ortografico, o comporre una musica senza un sintetizzatore che emula diversi strumenti, o girare un video montandolo in analogico con una moviola.
Certo, all’inizio c’è sempre molta reticenza e una certa frizione, soprattutto da chi ha imparato il lavoro tempo fa e fa fatica a cambiare il punto di vista e a avere uno shift di paradigma.
Tuttavia, è anche vero che le generazioni attuali non possono più permettersi di imparare un lavoro e di fare quel lavoro per il resto della loro vita.
Adesso si impara un lavoro e ogni giorno bisogna apprendere qualcosa di nuovo, il che per certi versi può essere angosciante, ma se invece si affronta in un’ottica un po’ più serena e tranquilla, si può scoprire che può essere divertente ogni giorno affrontare una sfida nuova.
Non perché ci siano sfide e poi ci debba essere l’ansia di perderle, ma perché ogni giorno si impara qualcosa di nuovo e a fine giornata si diventa persone migliori.
Come montatore, come video producer, sono convinto che nei prossimi anni, con un orizzonte temporale molto breve, molti video che io produco verranno realizzati direttamente dai miei clienti, a partire da delle foto.
Sono dispiaciuto? Sì e no, perché si tratta fondamentalmente di tutti i video a bassissimo margine, che già adesso faccio con la mano sinistra, con poco impegno e con poco entusiasmo.
Tra dieci anni, gli spot televisivi verranno fatti tutti così? È probabile.
Ma è anche vero che già adesso un sacco di spot televisivi sono tutti uguali, hanno tutti la stessa struttura, dicono tutte le stesse cose e, di conseguenza, non rimangono impressi.
Quello che farò io, per quanto mi è possibile e per il tempo che riuscirò a farlo, sarà sfruttare questi strumenti e padroneggiarli in modo tale da usarli per produrre contenuti prima ancora che il mio cliente se li produca da sé.
Quando le macchine saranno talmente raffinate da fare qualcosa di indistinguibile da quello che faccio io, probabilmente mi metterò a coltivare la terra.
Non credo di sbagliare nel dire che quella, almeno per un po’, sarà un’attività di difficile gestione da parte dei robot.
Simone: Tu sviluppi moltissime applicazioni che oggi si appoggiano a tool di Intelligenza Artificiale, pensi che questa accessibilità per gli sviluppatori sarà sempre a buon mercato o pensi che le cose cambieranno in futuro?
Alex: Questa è una domanda molto interessante.
Prevedere cosa farà il mercato è sempre un po’ come tirare i dadi.
Credo che nel prossimo futuro, nei prossimi due o tre anni, i prezzi, invece di aumentare, si abbasseranno perché gli strumenti diventeranno sempre più complessi.
Abbiamo visto che la tendenza al momento è quella di rilasciare modelli precedenti a prezzi inferiori o comunque di abbassare i costi in modo da permettere una maggiore accessibilità; inoltre, così si creano un sacco di applicazioni che sfruttano questi strumenti e modelli.
Nel momento in cui si alzano i prezzi, effettivamente gli sviluppatori sono obbligati a rimanere nel giro senza grandi possibilità di scegliere alternative; è un po’ come dire: la prima dose è gratis, poi dopo vediamo di iniziare a pagarla.
Come ho detto, il consumo energetico e di risorse è sempre più elevato da questi strumenti e, da qualche parte, i soldi dovranno pur saltare fuori.
Tutti coloro che stanno facendo intelligenza artificiale in questo modo stanno andando in perdita, e bisognerà vedere se a un certo punto i finanziatori diranno: è venuto il momento di ritornare all’investimento oppure no.
Lo spazio, secondo me, nei prossimi due o tre anni per sviluppatori che creano prodotti impacchettando questi servizi sarà ancora elevato, e ci saranno sempre più possibilità e sempre più raffinate.
Quello che succederà nel medio e lungo termine, però, mi è assolutamente ignoto e probabilmente, pensando non nell’ottica da imprenditore ma da essere umano, sarebbe anche bello che tutte queste cose tornassero ad avere dei costi talmente elevati da poter essere utilizzate soltanto per le cose necessarie, in modo tale che l’intero rumore di fondo di fuffa si quieti e il consumo di queste risorse energetiche e ambientali si fermi o rallenti.
Simone: Ci pensi mai che un giorno delle AI venderanno dei software migliori dei tuoi?
Alex: Domanda molto bella anche questa… Mi spaventa che siano le AI a vendere.
Adesso come adesso, le intelligenze artificiali sono utilizzate più o meno furbamente dagli sviluppatori per quello che viene chiamato “boilerplate” nello sviluppo del software.
Cioè, le opzioni più ripetitive, la scrittura di codici più ripetitiva può essere templatizzata in maniera furba dall’intelligenza artificiale, dai modelli linguistici che sono applicati ai linguaggi di programmazione.
Per cui le intelligenze artificiali probabilmente si occuperanno nel breve periodo, nel medio periodo, di sviluppare questi pezzi di codice e magari anche di fare il testing.
L’idea di avere delle applicazioni complete mi fa un po’ ridere perché ci sono talmente tante sfumature.
Nel senso che, se io adesso dovessi sviluppare un’applicazione che fa il calendario oppure la lista delle cose da fare, molto probabilmente un’intelligenza artificiale riuscirebbe a sviluppare un’applicazione di base perché ci sono mille esempi e mille applicazioni che fanno questa cosa.
C’è molta letteratura, però inventarsi qualcosa di nuovo, riuscirà l’intelligenza artificiale a inventarsi qualcosa di nuovo?
Sono curioso.
In questo momento, a oggi, la vedo molto lontana.
È un po’ come dire che l’intelligenza artificiale probabilmente sostituirà oppure integrerà il lavoro di sviluppatori junior o stagisti.
Insomma, quelli che fanno l’equivalente di fare le fotocopie nello sviluppo del software.
Però la strutturazione sarà ancora in mano agli uomini.
Ben più interessante è il discorso sulla gestione delle risorse umane.
Cioè, se un’applicazione viene sviluppata da una persona, è un conto; se un’applicazione viene sviluppata da un team di 5 persone, è un altro conto; se un’intera struttura è sviluppata da tanti team composti alla fine da 10.000 persone, sto pensando a motori di ricerca, a social network, a questi software grossi, e lì la componente di scrittura del codice è una percentuale minimale di quello che poi viene fatto in realtà.
Perché poi c’è tutta la questione di sincronizzare il lavoro di tutte queste persone, di coordinarle, di gestire anche i casi limite dal punto di vista umano.
Ogni essere umano è diverso dall’altro, ogni lavoratore è diverso dall’altro, ogni persona è diversa dall’altra e ha le sue peculiarità.
I bravi manager sono quelli che hanno questa sensibilità che viene chiamata parte delle soft skill, cioè non tanto di sapere riempire un Excel con dei numeri, ma chiudere l’Excel e guardare in faccia la persona e capire come motivarla, come tirar fuori il meglio, come farla sentire bene in modo tale che l’intero team, l’intera azienda ne possa beneficiare.
Questa è ancora una cosa che, anche se qualcuno a oggi può pensare di insegnarla nelle scuole, si tratta di una di quelle skill che è proprio difficile da insegnare perché comporta un sacco di cose poco quantificabili, poco parametrizzabili, poco procedurabili, perché si tratta di rapporti umani e quelle cose vanno ben oltre la schematizzazione. E la codifica.
Simone: Ultima domanda, poi ti lasciamo in pace: come vedi l’evoluzione degli strumenti generativi in ambito artistico (design, creazione di immagini, video generati e musica)?
Alex: Naturalmente, facendo di mestiere comunicazione audiovisiva, sono assolutamente interessato a tutti questi strumenti. Se il 2023 è stato l’anno dell’intelligenza artificiale testuale, il 2024 è l’anno dell’intelligenza artificiale audiovisuale, in cui, veramente nell’arco di qualche mese, abbiamo assistito a degli improvement catastrofici, dal punto di vista delle immagini prima, e poi per il video e per la musica.
Al punto tale che, secondo me, dei buoni produttori, in qualsiasi ambito, possono veramente prendere spunto dalle idee folli che escono dall’intelligenza artificiale.
I primi esperimenti di video generati in intelligenza artificiale erano molto più simili alla confusione di un sogno e questo può essere veramente qualcosa di alternativo quando si sta pensando a un’impronta visiva per qualcosa che non è particolarmente codificato.
Poi, naturalmente, man mano che le tecnologie si evolvono e i database incrementano, tutto ciò che viene prodotto è sempre più raffinato e sempre più indistinguibile da un progetto non artificiale.
La cosa particolare, quella che più mi caratterizza e di cui sono anche un po’ stupito, è il fatto che io uso continuamente l’intelligenza artificiale per generare immagini, mentre ho una reticenza quasi inspiegabile nei confronti degli strumenti per fare musica.
Forse perché ho fatto musica da giovane e queste cose non mi sembrano naturali, o forse è semplicemente l’effetto dell’uncanny valley.
Sul video, sono ancora in attesa di mettere le mani su qualcosa di sensato.
Tutto quello che ho provato fino a ora mi è sembrato ottimo dal punto di vista sperimentale, ma completamente non utilizzabile per la produzione.
Discorso a parte, invece, fa la generazione di audio speaker, che io utilizzo continuamente per gioco, ma anche per lavoro, quando devo realizzare tutorial in lingua inglese. Oltre al fatto che una versione multilingue di questi modelli, l’ho utilizzata l’anno scorso per delle interviste nel settore farmaceutico.
Credo che quello sia l’ambito in cui la naturalezza del parlato sia più vicina a quella reale e, considerando i costi elevatissimi degli speaker, probabilmente sarà il primo settore in cui, a breve, avremo prodotti commerciali anche di alto livello, come gli spot televisivi, realizzati senza intervento umano, almeno dal punto di vista della voce, inizialmente, e anche della musica dopo.
In questo momento mi metto il cappello da regista e devo dire di non essere particolarmente spaventato, perché nel futuro, se potrò concentrarmi sul disegno globale e non andare a rompermi le scatole sulla singola inquadratura, potrei ritenermi anche più sollevato e soddisfatto.
Forse però questa è soltanto la speranza di una persona miope che non si rende conto che, dopodomani, un computer dall’altra parte del mondo farà il mio lavoro anche meglio di me.
A questa ultima domanda, dunque, non ho una vera e propria risposta da fornire, ma solo queste mie considerazioni a caldo e con un punto di vista e una visuale nemmeno troppo allargati.
L’ultima considerazione, ed è un pensiero che comunque facciamo tutti quelli che pensano a come l’intelligenza artificiale stia permeando le nostre vite oggi, è che vediamo sempre più contenuti realizzati in questo modo, fruiti da persone che i contenuti neanche li leggono, li guardano o li ascoltano.
Probabilmente ci sarà ancora spazio in futuro per una piccola nicchia di professionisti il cui lavoro viene veramente assorbito, percepito e valutato come tale, mentre il 99% del resto sarà qualcosa di generato in maniera meccanica e digerito altrettanto in maniera meccanica da altri strumenti di intelligenza artificiale che catalogano il contenuto, fino al punto in cui tutto sarà praticamente digitale. Ogni contenuto, artificiale, genererà a sua volta qualcosa di digitale e di artificiale.
Questa situazione porterà a un impoverimento totale, o se ci sarà una sorta di scintilla creazionista all’interno di questa eugenetica di 0 e 1, assisteremo alla nascita di qualcosa di completamente nuovo e imprevisto.
Ma, se devo essere completamente onesto, forse la risposta più coerente a questa domanda è un banalissimo “non lo so”.
Simone: Grazie mille, Alex, per questa intervista ricca di spunti e riflessioni profonde. Il tuo punto di vista ci offre una prospettiva unica su come l’IA stia influenzando il mondo creativo e professionale.
L’intervista ad Alex Raccuglia ci offre spunti di riflessione importanti sull’intelligenza artificiale, un tema complesso e in continua evoluzione. È fondamentale, come sottolinea Alex, approcciarsi all’IA con un occhio critico e consapevole, senza cedere a facili entusiasmi o a inutili allarmismi. L’IA è uno strumento potente, con enormi potenzialità, ma è necessario utilizzarlo con responsabilità e attenzione, per evitare di cadere in trappole di deresponsabilizzazione e di standardizzazione.
Il futuro dell’IA è ancora tutto da scrivere, ma è chiaro che avrà un impatto significativo sulla nostra vita e sul nostro lavoro. Sta a noi — come individui e come società — decidere come utilizzare questa tecnologia per creare un futuro migliore per tutti.
Ringraziamo Alex Raccuglia per la sua disponibilità e per aver condiviso con noi le sue conoscenze. E grazie a voi lettori per averci seguito in questa lunga, ma speriamo interessante, intervista.